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Santi del 28 Agosto

Il mio Santo > I Santi di Agosto

*Sant'Adelina di Poulangy - Badessa (28 Agosto)
Etimologia: Adelina (come Adele ed Adelaide) = figlia nobile, dall'antico tedesco
Figlia del Beato Guido, fratello di San Bernardo di Chiaravalle, e della Beata Elisabetta, che fu badessa di Larrey (Digione), abbracciò la vita monastica nel monastero materno o forse a Jully o a Tard.
Inviata a Poulangy (diocesi di Langres) per introdurvi la riforma cistercense, divenne badessa di quel monastero, circa la metà del sec. XII.
Ivi accolse Sant’ Ascelina: nella Vita di quest'ultima sono ricordate le sue virtù.
Nella sua attività a profitto dell'Ordine obbedì alle direttive dello zio, San Bernardo. Morta circa il 1170, fu onorata come Beata o Santa; ma non c'è traccia di culto ufficiale. La sua memoria ricorre il 2 settembre o il 28 agosto.

(Autore: Fabiano Giorgini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Adelina di Poulangy, pregate per noi.

*Sant'Agostino - Vescovo e Dottore della Chiesa (28 Agosto)
Tagaste (Numidia), 13 novembre 354 – Ippona (Africa), 28 agosto 430
Sant'Agostino nasce in Africa a Tagaste, nella Numidia - attualmente Souk-Ahras in Algeria - il 13 novembre 354 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Dalla madre riceve un'educazione cristiana, ma dopo aver letto l'Ortensio di Cicerone abbraccia la filosofia aderendo al manicheismo. Risale al 387 il viaggio a Milano, città in cui conosce Sant'Ambrogio.
L'incontro si rivela importante per il cammino di fede di Agostino: è da Ambrogio che riceve il battesimo. Successivamente ritorna in Africa con il desiderio di creare una comunità di monaci; dopo la morte della madre si reca a Ippona, dove viene ordinato sacerdote e vescovo.
Le sue opere teologiche, mistiche, filosofiche e polemiche - quest'ultime riflettono l'intensa lotta che Agostino intraprende contro le eresie, a cui dedica parte della sua vita - sono tutt'ora studiate. Agostino per il suo pensiero, racchiuso in testi come «Confessioni» o «Città di Dio», ha meritato il titolo di Dottore della Chiesa. Mentre Ippona è assediata dai Vandali, nel 429 il santo si ammala gravemente. Muore il 28 agosto del 430 all'età di 76 anni. (Avvenire)

Patronato: Teologi, Stampatori
Etimologia: Agostino = piccolo venerabile, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Libro, Cuore di fuoco
Martirologio Romano: Memoria di Sant’Agostino, vescovo e insigne dottore della Chiesa: convertito alla fede cattolica dopo una adolescenza inquieta nei princípi e nei costumi, fu battezzato a Milano da Sant’Ambrogio e, tornato in patria, condusse con alcuni amici vita ascetica, dedita a Dio e allo studio delle Scritture. Eletto poi vescovo di Ippona in Africa, nell’odierna Algeria, fu per trentaquattro anni maestro del suo gregge, che istruì con sermoni e numerosi scritti, con i quali combatté anche strenuamente contro gli errori del suo tempo o espose con sapienza la retta fede.
Agostino è uno degli autori di testi teologici, mistici, filosofici, esegetici, ancora oggi molto studiato e citato; egli è uno dei Dottori della Chiesa come ponte fra l’Africa e l’Europa; il suo libro le “Confessioni” è ancora oggi ricercato, ristampato, letto e meditato.
“Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo…. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te.
Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace”; così scrive Agostino Aurelio nelle “Confessioni”, perché la sua vita fu proprio così in due fasi: prima l’ansia inquieta di chi, cercando la strada, commette molti errori; poi imbroccata la via, sente il desiderio ardente di arrivare alla meta per abbracciare l’amato.
Agostino Aurelio nacque a Tagaste nella Numidia in Africa il 13 novembre 354 da una famiglia di classe media, di piccoli proprietari terrieri, il padre Patrizio era pagano, mentre la madre Monica, che aveva avuto tre figli, dei quali Agostino era il primogenito, era invece cristiana; fu lei a dargli un’educazione religiosa ma senza battezzarlo, come si usava allora, volendo attendere l’età matura.
Ebbe un’infanzia molto vivace, ma non certamente piena di peccati, come farebbe pensare una sua frase scritta nelle “Confessioni” dove si dichiara gran peccatore fin da piccolo. I peccati veri cominciarono più tardi; dopo i primi studi a Tagaste e poi nella vicina Madaura, si recò a Cartagine nel 371, con l’aiuto di un facoltoso signore del luogo di nome Romaniano; Agostino aveva 16 anni e viveva la sua adolescenza in modo molto vivace ed esuberante e mentre frequentava la scuola di un retore, cominciò a convivere con una ragazza cartaginese, che gli diede nel 372, anche un figlio, Adeodato.
Questa relazione sembra che sia durata 14 anni, quando nacque inaspettato il figlio; Agostino fu
costretto, come si suol dire, a darsi una regolata, riportando la sua condotta inconcludente e dispersiva, su una più retta strada, ed a concentrarsi negli studi, per i quali si trovava a Cartagine.
Le lagrime della madre Monica, cominciavano ad avere un effetto positivo; fu in quegli anni che maturò la sua prima vocazione di filosofo, grazie alla lettura di un libro di Cicerone, l’”Ortensio” che l’aveva particolarmente colpito, perché l’autore latino affermava, come soltanto la filosofia aiutasse la volontà ad allontanarsi dal male e ad esercitare la virtù.
Purtroppo la lettura della Sacra Scrittura non diceva niente alla sua mente razionalistica e la religione professata dalla madre gli sembrava ora “una superstizione puerile”, quindi cercò la verità nel manicheismo.
Il Manicheismo era una religione orientale fondata nel III secolo d.C. da Mani, che fondeva elementi del cristianesimo e della religione di Zoroastro, suo principio fondamentale era il dualismo, cioè l’opposizione continua di due principi egualmente divini, uno buono e uno cattivo, che dominano il mondo e anche l’animo dell’uomo.
Ultimati gli studi, tornò nel 374 a Tagaste, dove con l’aiuto del suo benefattore Romaniano, aprì una scuola di grammatica e retorica, e fu anche ospitato nella sua casa con tutta la famiglia, perché la madre Monica aveva preferito separarsi da Agostino, non condividendo le sue scelte religiose; solo più tardi lo riammise nella sua casa, avendo avuto un sogno premonitore, sul suo ritorno alla fede cristiana.
Dopo due anni nel 376, decise di lasciare il piccolo paese di Tagaste e ritornare a Cartagine e sempre con l’aiuto dell’amico Romaniano, che egli aveva convertito al manicheismo, aprì anche qui una scuola, dove insegnò per sette anni, purtroppo con alunni poco disciplinati.
Agostino però tra i manichei non trovò mai la risposta certa al suo desiderio di verità e dopo un incontro con un loro vescovo, Fausto, avvenuto nel 382 a Cartagine, che avrebbe dovuto fugare ogni dubbio, ne uscì non convinto e quindi prese ad allontanarsi dal manicheismo.
esideroso di nuove esperienze e stanco dell’indisciplina degli alunni cartaginesi, Agostino resistendo alle preghiere dell’amata madre, che voleva trattenerlo in Africa, decise di trasferirsi a Roma, capitale dell’impero, con tutta la famiglia.
A Roma, con l’aiuto dei manichei, aprì una scuola, ma non fu a suo agio, gli studenti romani, furbescamente, dopo aver ascoltate con attenzione le sue lezioni, sparivano al momento di pagare il pattuito compenso.
Subì una malattia gravissima che lo condusse quasi alla morte, nel contempo poté constatare che i manichei romani, se in pubblico ostentavano una condotta irreprensibile e casta, nel privato vivevano da dissoluti; disgustato se ne allontanò per sempre.
Nel 384 riuscì ad ottenere, con l’appoggio del prefetto di Roma, Quinto Aurelio Simmaco, la cattedra vacante di retorica a Milano, dove si trasferì, raggiunto nel 385, inaspettatamente dalla madre Monica, la quale conscia del travaglio interiore del figlio, gli fu accanto con la preghiera e con le lagrime, senza imporgli nulla, ma bensì come un angelo protettore.
E Milano fu la tappa decisiva della sua conversazione; qui ebbe l’opportunità di ascoltare i sermoni di Sant' Ambrogio che teneva regolarmente in cattedrale, ma se le sue parole si scolpivano nel cuore di Agostino, fu la frequentazione con un anziano sacerdote, san Simpliciano, che aveva preparato s. Ambrogio all’episcopato, a dargli l’ispirazione giusta; il quale con fine intuito lo indirizzò a leggere i neoplatonici, perché i loro scritti suggerivano “in tutti i modi l’idea di Dio e del suo Verbo”.
Un successivo incontro con s. Ambrogio, procuratogli dalla madre, segnò un altro passo verso il battesimo; fu convinto da Monica a seguire il consiglio dell’apostolo Paolo, sulla castità perfetta, che lo convinse pure a lasciare la moglie, la quale secondo la legge romana, essendo di classe inferiore, era praticamente una concubina, rimandandola in Africa e tenendo presso di sé il figlio Adeodato (ci riesce difficile ai nostri tempi comprendere questi atteggiamenti, così usuali per allora).
A casa di un amico Ponticiano, questi gli aveva parlato della vita casta dei monaci e di s. Antonio abate, dandogli anche il libro delle Lettere di S. Paolo; ritornato a casa sua, Agostino disorientato si appartò nel giardino, dando sfogo ad un pianto angosciato e mentre piangeva, avvertì una voce che gli diceva ”Tolle, lege, tolle, lege” (prendi e leggi), per cui aprì a caso il libro delle Lettere di S. Paolo e lesse un brano: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri” (Rom. 13, 13-14).
Dopo qualche settimana ancora d’insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio ed alcuni amici, ad una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre, perché partecipasse con le sue parole sapienti.
Nella Quaresima del 386 ritornarono a Milano per una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino, il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevettero nella notte del sabato santo, dalle mani di Sant' Ambrogio.
Intenzionato a creare una Comunità di monaci in Africa, decise di ritornare nella sua patria e nell’attesa della nave, la madre Monica improvvisamente si ammalò di una febbre maligna (forse malaria) e il 27 agosto del 387 morì a 56 anni. Il suo corpo trasferito a Roma si venera nella chiesa di S. Agostino, essa è considerata il modello e la patrona delle madri cristiane.
Dopo qualche mese trascorso a Roma per approfondire la sua conoscenza sui monasteri e le tradizioni della Chiesa, nel 388 ritornò a Tagaste, dove vendette i suoi pochi beni, distribuendone il ricavato ai poveri e ritiratosi con alcuni amici e discepoli, fondò una piccola comunità, dove i beni erano in comune proprietà.
Ma dopo un po’ l’affollarsi continuo dei concittadini, per chiedere consigli ed aiuti, disturbava il dovuto raccoglimento, fu necessario trovare un altro posto e Agostino lo cercò presso Ippona.
Trovatosi per caso nella basilica locale, in cui il vescovo Valerio, stava proponendo ai fedeli di consacrare un sacerdote che potesse aiutarlo, specie nella predicazione; accortasi della sua presenza, i fedeli presero a gridare: “Agostino prete!” allora si dava molto valore alla volontà del popolo, considerata volontà di Dio e nonostante che cercasse di rifiutare, perché non era questa la strada voluta, Agostino fu costretto ad accettare.
La città di Ippona ci guadagnò molto, la sua opera fu fecondissima, per prima cosa chiese al vescovo di trasferire il suo monastero ad Ippona, per continuare la sua scelta di vita, che in seguito divenne un seminario fonte di preti e vescovi africani.
L’iniziativa agostiniana gettava le basi del rinnovamento dei costumi del clero, egli pensava: “Il sacerdozio è cosa tanto grande che appena un buon monaco, può darci un buon chierico”.
Scrisse anche una Regola, che poi nel IX secolo venne adottata dalla Comunità dei Canonici Regolari o Agostiniani.
Il vescovo Valerio nel timore che Agostino venisse spostato in altra sede, convinse il popolo e il primate della Numidia, Megalio di Calama, a consacrarlo vescovo coadiutore di Ippona; nel 397 morto Valerio, egli gli successe come titolare.
Dovette lasciare il monastero e intraprendere la sua intensa attività di pastore di anime, che svolse egregiamente, tanto che la sua fama di vescovo illuminato si diffuse in tutte le Chiese Africane.
Nel contempo scriveva le sue opere che abbracciano tutto il sapere ideologico e sono numerose, vanno dalle filosofiche alle apologetiche, dalle dogmatiche alle morali e pastorali, dalle bibliche alle polemiche.
Queste ultime riflettono l’intensa e ardente battaglia che Agostino intraprese contro le eresie che funestavano l’unità della Chiesa in quei tempi: Il Manicheismo che conosceva bene, il Donatismo sorto ad opera del vescovo Donato e il Pelagianesimo propugnato dal monaco bretone Pelagio.
Egli fu maestro indiscusso nel confutare queste eresie e i vari movimenti che ad esse si rifacevano; i suoi interventi non solo illuminarono i pastori di anime dell’epoca, ma determinarono anche per il futuro, l’orientamento della teologia cattolica in questo campo.
La sua dottrina e teologia è così vasta che pur volendo solo accennarla, occorrerebbe il doppio dello spazio concesso a questa scheda, per forza sintetica; il suo pensiero per millenni ormai è oggetto di studio per la formazione cristiana, le tante sue opere, dalle “Confessioni” fino alla “Città di Dio”, gli hanno meritato il titolo di Dottore della Chiesa.
Nel 429 si ammalò gravemente, mentre Ippona era assediata da tre mesi dai Vandali comandati da Genserico († 477), dopo che avevano portato morte e distruzione dovunque; il santo vescovo ebbe l’impressione della prossima fine del mondo; morì il 28 agosto del 430 a 76 anni.
Il suo corpo sottratto ai Vandali durante l’incendio e distruzione di Ippona, venne trasportato poi a Cagliari dal vescovo Fulgenzio di Ruspe, verso il 508-517 ca., insieme alle reliquie di altri vescovi africani. Verso il 725 il suo corpo fu di nuovo traslato a Pavia, nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, non lontano dai luoghi della sua conversione, ad opera del pio re longobardo Liutprando († 744), che l’aveva riscattato dai saraceni della Sardegna.  

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Agostino, pregate per noi.

*Beato Agustín Bermejo Miranda - Sacerdote e Martire (28 Agosto)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli della Diocesi di Avila" Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Beati 522 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" -Senza Data (Celebrazioni singole)

Puerto Castilla, Spagna, 10 aprile 1904 - El Barraco, Spagna 28 agosto 1936
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Agustín Bermejo Miranda, pregate per noi.

*Sant'Alessandro I di Costantinopoli - Vescovo (28 Agosto)
Etimologia: Alessandro = protettore di uomini, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Costantinopoli, Sant’Alessandro, vescovo, la cui preghiera apostolica, come scrive San Gregorio di Nazianzo, schiacciò il capo dell’empietà ariana.
Succeduto a Metrofane poco dopo il concilio di Nicea, Alessandro occupò la sede bizantina per circa undici anni, dal momento che Paolo fu eletto nel 336, e durante il suo episcopato lottò strenuamente per la difesa dell'ortodossia nicena contro gli intrighi degli ariani .
Il nome di Alessandro è particolarmente legato al tentativo che Ario, favorito dal partito ariano
della corte e forte dell'autorità di Costantino, fece per essere ammesso alla comunione nella Chiesa di Costantinopoli.
Sant' Atanasio, da cui dipendono altri autori, quali Socrate e Sozomeno, nella lettera a Serapione del 358 parla diffusamente di questo tentativo, menzionato anche nei sinassari e negli altri scritti biografici.
Secondo il racconto di Sant'Atanasio, che si vale della testimonianza oculare del prete Macario, Ario, dopo una subdola professione di ortodossia, fu riabilitato da Costantino e pretese quindi di essere ammesso alla comunione dal vescovo Alessandro.
Questi naturalmente si oppose, ma, prevedendo di non poter resistere alla prepotenza del partito ariano, che faceva capo a Eusebio vescovo di Nicomedia, si rivolse a Dio invocando da Lui la morte piuttosto che vedere un eretico entrare nel tempio.
L'improvvisa morte di Ario tra atroci dolori mentre si avviava alla sua pubblica riabilitazione, fu il segno del giudizio di Dio "che si era assiso qual giudice tra le minacce dei partigiani di Eusebio e la preghiera di Alessandro".
Alessandro morì probabilmente nel 336 o nel 340. Nel Martirologio Romano e nel Geronimiano è ricordato il 28 agosto, mentre presso i Greci la memoria è al 30 e 31 agosto.
Il Sinassario Costantinopolitano, celebrando A. il 2 giugno, commette l'errore storieocronologico di collocare la morte di Ario sotto l'imperatore Costanzo.

(Autore: Francesco Saverio Pericoli Ridolfini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Alessandro I di Costantinopoli, pregate per noi.

*Beato Alfonso Maria dello Spirito Santo (Jozef Mazurek) - Sacerdote e Martire (28 Agosto)
Scheda del gruppo a cui appartiene: “Beati 108 Martiri Polacchi”
Baranowka, Polonia, 1 marzo 1891 - Nawojowa Gora, Polonia, 28 agosto 1944

Il Beato Alfonso Maria dello Spirito Santo (al secolo Jozef Mazurek), sacerdote professo dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, nacque a Baranówka (Lublin), Polonia, il 1° marzo 1891 e morì a Nawojowa Góra (Krzeszowice) il 28 agosto 1944. Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.
Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico
Martirologio Romano: Nella cittadina di Nawojowa Góra in Polonia, Beato Alfonso Maria Mazurek, sacerdote e martire, che, in tempo di guerra, fu ucciso per la sua fede cristiana dagli invasori della patria.
Jozef Mazurek nacque il 1° marzo 1891 presso Baranówka, nella Polonia orientale. Entrò fra i carmelitani scalzi e, dopo esser stato alunno del Seminario Minore dei Carmelitani Scalzi di Wadowice, dove poté conoscere San Raffaele Kalinowski, nel 1908 ricevette l’abito religioso con il nome di Alfonso Maria dello Spirito Santo. Compiuti prima a Wadowice e poi a Vienna gli studi filosofici e teologici, ricevette nella capitale austriaca l’ordinazione presbiterale il 16 luglio 1916.
Noto per le sue doti organizzative e stimato educatore della gioventù, sino al 1930 fu prefetto e professore presso il Seminario Minore di Wadowice, riuscendo ad ottenergli tutti i diritti spettanti alle scuole private e poi anche statali, con un esame di maturità civilmente riconosciuto. A buona ragione è ritenuto uno dei più meritevoli educatori nella storia di tale seminario.
Nel 1930 avvenne la sua elezione a priore del convento carmelitano di Czerna. Padre Alfonso svolse tale ufficio fino al termine della vita, ad eccezione del triennio 1936-1939 durante il quale fu invece economo del medesimo convento. Dedicò alla sua comunità ogni sua forza fisica e spirituale. Ravvivò l’attività pastorale nella chiesa conventuale, sita in un bosco purtroppo assai distante dal paese. Fu stimato assistente dell’Ordine Secolare sia a Czerna che nella vicina Slesia.
Tutta la sua vita spirituale fu fondata su una fede profonda, espressa nel compimento fedele dei doveri religiosi e del servizio sacerdotale, in primo luogo nella celebrazione cosciente e degna dell’Eucarestia, nella cura per la bellezza del culto divino e nella fedeltà alla vita di preghiera
contemplativa. Era solito raccogliersi in orazione dinnanzi al Santissimo Sacramento per cercarvi luce e forza. Un testimone oculare affermò che Padre Alfonso “era un uomo di profonda fede e di una fede pratica, quando lo conobbi. Vedeva il suo Ordine con spirito di Fede e anche i suoi doveri e il ministero sacramentale. Celebrava sempre devotamente la S. Messa; però la sua devozione non era artificiale”.
La stessa fede lo rese intrepido nel continuare la sua missione pastorale durante l’occupazione nazista, senza mai lasciarsi intimidire dalle minacce di rappresaglie. Uno di questi gesti intrepidi fu l’accogliere giovani aspiranti all’Ordine. Durante la guerra, pur esponendosi agli occupanti, aiutò gli espulsi di Slesia.
Affrontò comunque sempre queste situazioni con pace e serenità, fissando lo sguardo su Gesù povero e disprezzato, come egli stesso soleva ricordare. “Niente - affermava - dovrebbe turbare la pace e la tranquillità del cuore, perché questo cuore dovrebbe attaccarsi solo a Dio, e non alle sue consolazioni, alle sue grazie o ai suoi doni”.
Avvicinandosi la fine della seconda guerra mondiale, nell’agosto del 1944 crebbe notevolmente l’ostilità nazista verso i carmelitani scalzi di Czerna. Il 24 agosto di quell’anno fu fucilato, durante la passeggiata comunitaria, il novizio Fra Francesco Powiertowski.
Quattro giorni dopo entrò nel convento il comando militare nazista, obbligando i religiosi a recarsi al villaggio Rudawa, ad oltre dieci chilometri di distanza, per scavare delle trincee. Padre Alfonso venne separato con forza dalla comunità e, costretto a salire su un’auto dei militari, fu brutalmente maltrattato e torturato.
Infine fu gettato a terra e fucilato nel villaggio di Nawojowa  Gora, presso Rudawa. Tutto ciò avvenne dunque il 28 agosto 1944, vigilia della memoria liturgica del Martirio di San Giovanni Battista, al quale egli era tanto devoto.
Alcuni testimoni del ritrovamento del cadavere asserirono che come durante la tortura anche da morto continuò a stringere fra le mani la corona del Rosario.
L’eroica fine di Padre Alfonso costutuì l’ultima testimonianza della sua fedeltà alla grazia della vocazione e della sua filiale fiducia verso la Madonna, Regina e Madre del Carmelo, fedeltà e fiducia che egli aveva sempre inculcato nei cuori dei suoi confratelli con il suo esempio. Alcune frasi dei suoi scritti rivelano ancora oggi la sua profonda marianità: “Nelle afflizioni, nelle tribolazioni, nelle angustie e nelle tentazioni, sempre mi rifugerò vicino all'amatissima Madre mia, Maria. Ad Ella offro me stesso e tutte le mie cose.
Fedelmente, insieme con la Santissima Madre mia Maria, voglio stare presso la croce di Gesù”.  Papa Giovanni Paolo II l’13 giugno 1999 elevò agli onori degli altari ben 108 vittime della medesima persecuzione nazista, tra le quali il Beato Alfonso Maria Mazurek, che viene dunque ora commemorato dal Martyrologium Romanum in data 28 agosto.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Alfonso Maria dello Spirito Santo, pregate per noi.

*Beato Angelo da Pesche d'Isernia - Laico Francescano (28 Agosto)

Il Beato è nominato nel “Martirologio Francescano” il 28 agosto, nacque a Pesche d’Isernia intorno all’anno 1400, della sua vita si sa che fu laico, ortolano e questuante dell’Ordine Francescano, in vari conventi dell’Italia Meridionale; aveva un grande spirito di orazione e di unione con Dio, che non perdeva nemmeno nell’esplicare i lavori più umili e materiali.
Si racconta che essendo stato chiamato nella casa della contessa di Ariano, moglie del conte Innico, arrivò quando nel palazzo si dava un concerto alla presenza del conte, all’udire quella musica quattrocentesca, il suo pensiero andò verso i cori celesti e questo gli procurò un’estasi, sollevandosi da terra per un po’ di tempo.
E come tanti altri umili frati o sacerdoti, nei secoli passati, grazie alla loro semplicità e discernimento nella lettura dei cuori della gente, venivano ricercati e consultati per consiglio e guida, anche il Beato Angelo da Pesche d’Isernia fu interpellato e seguito nei suoi semplici ma profondi consigli da principi e nobili del regno aragonese delle Due Sicilie.
Morì nel convento francescano di Lucera (Foggia) nel 1460, il suo corpo riposa in questa città pugliese.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Angelo da Pesche d'Isernia, pregate per noi.

*Beato Aurelio da Vinalesa (José Ample Alcaide) - Sacerdote e Martire (28 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Cappuccini di Valencia”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

1896 - 1936

Martirologio Romano:
Vicino al villaggio di Vinalesa ancora nello stesso territorio, Beato Aurelio (Giuseppe) Ample Alcaide, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e martire, che, nello stesso periodo, nella battaglia per la fede riportò il premio glorioso.
Nacque il 3 febbraio 1896 a Vinalesa (Valencia), terzo dei sette figli che ebbero gli sposi D. Vicente Ample e Donna Manuela Alcaide.
Fu battezzato il giorno dopo la nascita, cioè il 4 febbraio, nella parrocchia di San Honorato vescovo, e ricevette la Confermazione il 21 aprile 1899.
Fece i primi studi nel Seminario serafico di Massamagrell (Valencia). Vestì l’abito cappuccino nel 1912; emise la professione temporanea il 10 agosto 1913 e quella perpetua il 18 dicembre 1917. Fu poi inviato a Roma per perfezionarsi negli studi e nella Città eterna venne ordinato sacerdote il 26 marzo 1921 dall’arcivescovo di Filipos, Mons. Giuseppe Palica. Ritornato in Spagna, venne nominato direttore dello Studentato di filosofia e teologia dei Cappuccini a Orihuela (Alicante), ufficio che svolse con prudenza e soddisfazione generale fino alla morte.
“Tra i fedeli godeva fama di santo - disse di lui il sacerdote Operaio Diocesano D. Pascual Ortells - e a tale fama univa anche quella di saggio. Era fedele osservante di tutte le regole di san Francesco, e s’impegnava in modo totale nell’aiutare i suoi giovani in maniera che fossero perfetti religiosi”.
Durante la rivoluzione del 1936 tutti i religiosi del convento di Orihuela si dispersero il 13 luglio.
P. Aurelio cercò rifugio nella casa paterna a Vinalesa, nella quale, il 28 agosto, fu catturato dai miliziani e portato nel luogo della morte. Prima di essere ucciso esortò tutti i compagni a ben morire, diede loro l’assoluzione e aggiunse poi: “Gridate forte: Viva Cristo Re!”.
Fu ucciso il 28 agosto 1936. Il suo corpo fu sepolto nel cimitero di Foyos (Valencia), nelle cui vicinanze era stato ucciso. Passata la guerra civile, i suoi resti furono esumati e trasportati nel cimitero di Vinalesa il 17 settembre 1937.
Attualmente riposano nella cappella dei martiri cappuccini del convento della Maddalena di Massamagrell.
P. Aurelio conservò la disponibilità interiore, dal momento che fu catturato fino alla morte, mantenendosi in tutto fedele a Cristo.
“Conservò la serenità fino all’ultimo momento - dice di lui Rafael Rodrigo, testimone del suo martirio - incoraggiando tutti noi che stavamo per morire.
Quando tutto era ormai pronto per l’esecuzione, ci esortò a recitare la formula dell’atto di contrizione. Così facemmo; e quando il Servo di Dio stava recitando la formula dell’assoluzione un miliziano gli diede due schiaffi.
Uno del gruppo dei miliziani disse al compagno di non lo schiaffeggiare più, perché non ne valeva la pena, dato il tempo di vita che ci restava.
Il Servo di Dio rimase inalterato di fronte all’ingiuria e continuò l’assoluzione sino alla fine.
Appena il Servo di Dio ebbe terminato il suo sacro dovere, risuonò una scarica e cademmo tutti ripetendo con lui il grido: ‘Viva Cristo Re!’”.

(Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - Beato Aurelio da Vinalesa, pregate per noi.

*San Bibiano (Viviano) di Saintes - Vescovo (28 Agosto)

Martirologio Romano: A Saintes in Francia, San Viviano, vescovo.
Visse fra il 419 e il 460 ca. Gregorio di Tours, che gli dedica il capo LVII del suo In gloria confessorum, redatto su una Vita scritta da un contemporaneo o quasi (520-30), loda Bibiano per aver coraggiosamente difeso in due circostanze i suoi diocesani.
La prima volta il santo vescovo si recò a Tolosa a intercedere per la città oberata di tasse, inducendo con un miracolo il re Teodorico, ariano, a esaudirlo; l'altra volta liberò la città da un'invasione di Sassoni; si tratta, comunque, di eventi di cui è lecito dubitare.
Bibiano fece innalzare la cattedrale, che, distrutta, fu riedificata e a lui intitolata: la sua tomba attirò folle di pellegrini.
Alcune reliquie di Bibiano furono portate a Figeac e a Rouen e molti monasteri si intitolarono al suo nome.
La festa si celebra il 28 agosto.

(Autore: Hubert Claude – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bibiano di Saintes, pregate per noi.

*Beato Carlo Arnaldo Hanus - Sacerdote e Martire (28 Agosto)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri dei Pontoni di Rochefort" 64 martiri della Rivoluzione Francese - Senza data (Celebrazioni singole)
Nancy, Francia, 18 ottobre 1723 - Pontoni di Rochefort, Francia, 28 agosto 1794
Parroco e poi decano del Capitolo di Ligny (Meuse).
Martire nella Rivoluzione Francese, è stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 1° ottobre 1995.

Martirologio Romano: All’ancora davanti a Rochefort sulla costa francese, beato Carlo Arnaldo Hanus, sacerdote e martire, che per il suo sacerdozio fu rinchiuso durante la rivoluzione francese in una nave da carico e consumò il suo martirio abbandonato dalle forze e colpito poi da malattia.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Carlo Arnaldo Hanus, pregate per noi.

*Sant'Edmondo Arrowsmith - Martire (28 Agosto)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Santi Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles”
Haydock, Inghilterra, 1585 - Lancaster, 28 agosto 1628
Emblema:
Palma
Martirologio Romano: A Lancaster sempre in Inghilterra, Sant’Edmondo Arrowsmith, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che, originario di quello stesso ducato, dopo aver trascorso molti anni in patria nell’esercizio della cura pastorale, morì impiccato sotto il re Carlo I, pur contro il volere degli stessi protestanti del luogo, con l’accusa di essere sacerdote e di avere indotto molti alla fede cattolica.
Nello stuolo di martiri gesuiti uccisi nelle persecuzioni anticattoliche in Inghilterra, vi è anche Sant' Edmondo Arrowsmith; nato nel 1585 ad Haydock (Lancastershire) da famiglia cattolica, molto nota per la carità di ospitare i sacerdoti perseguitati.
Per questo motivo essi vennero arrestati quando Edmondo era ancora un bambino; venne affidato ad un buon sacerdote che lo avviò alla carriera ecclesiastica.
Fu mandato nel 1605, a studiare nel Collegio inglese di Douai in Francia; venne ordinato sacerdote il 5 dicembre 1612.
Ritornato in Inghilterra, trascorse circa undici anni nel Lancastershire, espletando il suo apostolato e profondendo una grande capacità nelle dispute con gli eretici, non riguardandosi per i pericoli a cui si esponeva.
Nel 1623 entrò nella Compagnia di Gesù pur continuando il suo apostolato, in seguito denunciato, venne scoperto, arrestato e condotto nella prigione di Lancaster; con l’accusa di essere sacerdote, gesuita e impegnato nelle conversioni al cattolicesimo, fu portato davanti al giudice Jelveston, il quale senza permettergli alcuna difesa lo condannò a morte.
Impregnato d’odio e fanatismo religioso questo giudice del re Carlo I (1625-49) nel condannarlo concluse: “Tu morirai fra cielo e terra!” facendo eseguire la sentenza persino un giorno prima del consueto.
Edmondo Arrowsmith rispose: “Deo gratias!” venne impiccato e squartato, secondo le orrende regole di quei tempi infami, il 28 agosto 1628.
Ancora oggi si conserva la reliquia di una mano; fu beatificato il 15 dicembre 1929 da Papa Pio XI e canonizzato da Papa Paolo VI il 25 ottobre 1970, insieme ad altri 39 martiri in Inghilterra e Galles.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Edmondo Arrowsmith, pregate per noi.

*Beato Enrico Webley - Martire (28 Agosto)  
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Inglesi" Beatificati nel 1987 (4 maggio)
"Martiri di Gran Bretagna e Irlanda" - Senza data (Celebrazioni singole)

Gloucester, Inghilterra, circa 1558 – Mile End Green, Londra, 28 agosto 1588
Henry Webley venne arrestato presso il porto di Chichester nel 1586 e condannato per aver assistito il sacerdote William Dean. Con lui subì il martirio per impiccagione a Mile End Green, presso Londra, il 28 agosto 1588, a trent’anni circa. È stato beatificato il 22 novembre 1987.
Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, beati Guglielmo Dean, sacerdote, e sette compagni, martiri, che, sotto la regina Elisabetta I, nello stesso giorno, ma in diversi luoghi della città o nelle vicinanze, per il regno di Dio subirono il martirio con l’impiccagione.
Henry Webley nacque a Gloucester intorno al 1558. Probabilmente era parente di Thomas Webley, anche lui di Gloucester, che patì il martirio al Tyburn di Londra il 6 luglio 1585.
Non sappiamo nulla della sua vita fino all’aprile 1586, quando venne arrestato con quattro compagni. Vennero catturati mentre si stavano imbarcando per la Francia, presso il porto di Chichester. Dopo l’arresto, Webley venne accusato di aver aiutato un sacerdote, William Dean, che operava a Londra.
I cinque prigionieri vennero interrogati dal sindaco di Chichester prima di venire inviati a Londra, per essere giudicati dal Consiglio Privato di Sua Maestà. Vennero quindi internati nella prigione di Marshalsea, dove Webley avrebbe trascorso i successivi due anni. Nelle liste dei prigionieri dell’epoca, è classificato tra i “ricusanti” e i “prigionieri per motivi religiosi”.
Una spia, Nicholas Berden, lo descrisse come «né ricco né saggio, ma molto astuto». Tra gli incartamenti inviati da Berden a Sir Francis Walsingham, Segretario di Stato, c’erano elenchi sia di nomi di sacerdoti nelle prigioni londinesi, sia di laici. Una di queste conteneva cinque nomi, segnalati
come “Gentiluomini benestanti” e “inviare a Wisbech”. Wisbech era un carcere nel Cambridgeshire dove le misure erano più blande per i prigionieri ricchi. Webley, non essendolo, non avrebbe potuto pagare per trattamenti più lievi dietro le sbarre.
Nell’agosto 1588, l’anno della sconfitta dell’Invincibile Armata spagnola, John Pickering, avvocato che lavorava per la Corona, stilò un elenco di prigionieri cattolici, inserendo il nome di Webley tra coloro da condannare per alto tradimento, in base allo Statuto del 1585, che comprendeva coloro che ospitassero o aiutassero sacerdoti inglesi che avevano ricevuto l’ordinazione all’estero.
Dopo il nome di Webley sono riportati due commenti: “Prendere la parte della Regina”, barrato, e “Rifiutare perdono”. La cancellazione del primo commento significa che a Webley fu posta la cosiddetta “bloody question”, ossia come si sarebbe comportato in caso di un’invasione da parte del Papa per ristabilire il cattolicesimo in Inghilterra, ma lui rispose che non avrebbe sostenuto la Regina. L’altro commento, “Rifiutare perdono”, indica che gli era stata offerta la grazia, ma a condizione che abiurasse, e lui non lo fece.
Henry Webley venne processato nel carcere di Newgate a Londra il 26 agosto 1588, in un gruppo di sedici cattolici, membri del clero e del laicato. Di costoro, tre ritrattarono, gli altri vennero condannati al patibolo: quattro, compreso Webley, alla sola impiccagione, mentre i restanti sarebbero stati appesi al cappio e squartati.
Al mattino del 28 agosto Webley e due sacerdoti, William Gunter e William Dean, vennero prelevati da Newgate per essere condotti, su di un carretto, a Mile End Green, presso Londra. Giunti al luogo dell’esecuzione, i martiri non poterono parlare alla folla: quando padre Dean provò a farlo, gli venne ficcato in bocca un pezzo di stoffa. William Gunter venne successivamente condotto a Holywell Fields, presso il distretto londinese di Shoreditch, dove incontrò la medesima sorte degli altri due, che morirono, si racconta, «con grande costanza e gioia». Dopo la loro morte, accanto al patibolo venne montata la guardia, per evitare che qualcuno prelevasse i cadaveri per seppellirli o prendesse almeno qualche reliquia.
Il nome di Henry Webley faceva già parte dell’elenco dei primi potenziali martiri inclusi nel processo ordinario del 1874 e venne inserito tra i duecentoquarantuno la cui causa venne introdotta nel 1886. La sua causa venne riesaminata nel processo apostolico degli anni 1923-’26, ma incontrò delle obiezioni, col tempo superate. In questo modo, poté essere beatificato insieme ad altri ottantaquattro martiri il 22 novembre 1987.
Anche se beatificati in date diverse, William Dean, William Gunter, Robert Morton, Thomas Holford, James Claxton, Thomas Felton, Henry Webley e Hugh More sono ricordati dal Martirologio Romano il 28 agosto.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Enrico Webley, pregate per noi.

*Sant'Ermete - Martire a Roma (28 Agosto)  

Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Basilla sulla via Salaria antica, Sant’Ermete, martire, che, come riferisce il Papa San Damaso, venne dalla Grecia e Roma accolse come suo cittadino quando patì per il Santo nome.
Il suo nome ricorre nella passio apocrifa dei santi Evenzio, Alessandro e Teodulo, la quale fa di Alessandro il papa del tempo di Traiano e di Ermete il contemporaneo prefetto di Roma, convertito dal papa insieme con la moglie, i figli, la sorella Teodora e milleduecentocinquanta schiavi. Traiano, avutane notizia, avrebbe spedito a Roma Aureliano, il quale avrebbe fatto arrestare Ermete, consegnandolo al tribuno Quirino, che lo fece decapitare.
Il corpo del martire sarebbe stato raccolto dalla sorella Teodora e deposto «in Salaria veteri, non longe ab urbe Roma sub die quinto kalendas septembris». La passio non indica il nome del cimitero, ma il riferimento topografico è esatto.
La Depositio Martyrum, alla stessa data, segnala: «Hermetis in Basille, Salaria vetere»; così pure il Martirologio Geronimiano; sempre in detto giorno è menzionato nel Sacramentario Gregoriano e nel Sacramentario Gelasiano.
Nel 1932, nel sopratterra del cimitero di Bassilla, si identificarono due frammenti marmorei in caratteri filocaliani, appartenenti ad un carme tramandatoci dalla sola silloge Laureshamense quarta; il De Rossi lo pubblicò dicendolo di provenienza incerta, pur sospettando fosse stato tra l’Appia e la
Latina, ammettendo che il Terribilini l’avesse ritenuto l’elogio damasiano di san Ermete. Il Mantechi, invece, vi riconobbe il carme in onore di Ippolito del gruppo dei martiri greci.
I due frammenti del 1932 appartengono ai primi due esametri del carme; nel maggio 1940 si identificò un terzo piccolo frammento della terza riga.
La scoperta epigrafica conferma l’ipotesi del Terribilini: è l’elogio del martire Ermete. Esso, però, sfata la passio: storicamente non è mai esistito un Ermete prefetto di Roma; il cimitero di Bassilla, in cui il martire fu deposto, non si può fare risalire al tempo di Traiano.
Per Damaso, il martire non è però di epoca recente: «jam dudum, quod fama refert, te Graecia misit, / sanguine mutasti patriam, civemque fratrem / fecit amor legis: sancto pro nomine passus, / incolla nunc Domini, servas qui altaria Christi / ut Damasi praecibus faveas precor, inclite martyr».
Poiché nell’epigramma manca il nome del martire, giustamente il Ferma pensa vi fosse un sesto verso, non tramandatoci dalla silloge di Lortsch, contenente la dedica di Damaso al martire Ermete. Il nome stesso tradisce l’origine ellenica di un liberto o di uno schiavo.
Il suo sepolcro venne già abbellito alla fine del secolo IV non solo col carme di Damaso, ma anche con opere architettoniche, come dimostra l’epistilio marmoreo, rinvenuto in quello stesso luogo da A. Bosio, dove su una faccia si legge Herme e sull’altra Inherens. Egli fu sepolto a una quota del secondo piano del cimitero di Bassilla, dove il papa Pelagio I (579-90) «fecit cymiterium b. Hermetis martyris». Si tratta della prima costruzione o di un restauro?
Al tempo di san Gregorio Magno (590-604) un tale Giovanni recò l’olio delle lampade poste sul suo sepolcro alla regina Teodolinda. Sia la Notitia ecclesiarum, sia il Liber de locis, l’itinerario inserito da Guglielmo di Malmesbury nella Notitia portarum viarum et ecclesiarum urbis Romae e l’itinerario di Einsiedeln localizzano sulla Salaria il suo sepolcro «longe sub terra». Adriano I (772-95) restaurò la basilica presso la quale fiorì un monastero; un Eugenius... praepositus Mon. Sci Hermetis venne deposto a san Saba; l’abbazia di Ermete viene ancora ricordata tra il 1169 e il 1188.
Al monastero appartenne l’oratorio in cui fu rinvenuta la sua immagine, ma forse egli era stato già rappresentato nell’abside stessa della basilica, che nel Catalogo di Torino, circa l'anno 1320, "non habet servitorem", cioè non era più officiata.
La basilica fu riscoperta al tempo di A,. Bosio, all'inizio del secolo XVII; venne allora rinforzata; fu restaurata ancora dal p. G. Marchi nel 1844. Fuori Roma, il martire era venerato in Anzio già alla prima metà del V secolo: infatti, nel 418, Eulalio, il competitore del papa Bonifacio I, si rifugiò in quella cittadina "ad sanctus Hermen".
Nel 598 san Gregorio Magno spedì brandea, che erano stati deposti sul sepolcro del martire Ermete, al vescovo Crisanto di Spoleto per la chiesa di san Maria in Rieti; l'anno seguente, consentì che in Napoli venisse eretta una chiesa in onore dei santi Ermete, Sebastiano, Ciriaco e Pancrazio; al suo tempo esisteva un monastero di Ermete in Sicilia e un altro in Sardegna.

(Autore: Enrico Josi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ermete, pregate per noi.

*Sant’Ezechia - Re di Giuda (28 Agosto)

VIII-VII sec. a.C.
Succeduto al padre Achaz a venticinque anni, Ezechia regnò dal 721 circa al 693 a.C., seguendo le direttive dei circoli profetici e principalmente di Isaia. Attuò una vasta riforma religiosa, riconducendo il regno al puro jahwismo.
Curò la sistemazione dei libri sacri, salvati dai sacerdoti scampati alla rovina di Samaria. Per tutto ciò egli è lodato come il più retto dei discendenti davidici. Negli ultimi anni della sua vita costruì la nota galleria che dalla cosiddetta “Fontana della Vergine” conduce l’acqua alla vasca di Siloe.
«Tutto questo avvenne perché si « adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele».
Così Matteo (1,22-23) annunzia la nascita di Gesù modellandola su un celebre oracolo del profeta Isaia (7,14). Si introduce, però, una significativa variante rispetto all’originale ebraico: là si parlava semplicemente di una «giovane donna» (‘almah); ora, invece, è di scena una “vergine” (in greco, parthénos). È chiaro che l’evangelista rimanda a Maria e a suo Figlio non generato da seme umano bensì dallo Spirito divino. Ma il profeta a chi pensava, annunziando la nascita di quell’”Emmanuele”, cioè di un personaggio segno della presenza del “Dio-con-noi”?
Gli studiosi sono convinti che, prima di tutto, egli facesse riferimento al figlio in arrivo del re di allora, Acaz: la giovane moglie del sovrano, Abia, avrebbe generato un bambino chiamato Ezechia (“il
Signore è la mia forza”), che sarebbe stato un re giusto e fedele, a differenza di suo padre col quale Isaia ebbe spesso tensioni. Quella del profeta è, dunque, una speranza immediata per la dinastia di Davide; tuttavia, come si intuisce nelle altre pagine (capitoli 9 e 11) che esaltano il re-Emmanuele, lo sguardo di Isaia si allunga o!tre quegli anni dell’Vifi sec. a.C. e, dietro il proffio concreto di Ezechia, si fa balenare il volto del Consacrato per eccellenza, in ebraico il “Messia”, l’Atteso, il vero e definitivo Emmanuele.
Di Ezechia, comunque, abbiamo varie notizie presenti nel secondo Libro dei Re e nel secondo Libro delle Cronache: purificò il tempio da ogni traccia idolatrica, riportò il culto alla sua purezza, s’impegnò nella conquista del territorio filisteo, si scontrò persino con la superpotenza assira.
Fu in quest’ultima occasione che il re di Assiria Sennacherib marciò contro Gerusalemme assediandola: Ezechia — dice la Bibbia — implorò il Signore, che inviò il suo angelo a menar strage nell’accampamento assiro (185.000 morti), forse un modo simbolico per descrivere una pestilenza (in realtà ci furono due campagne militari assire contro il regno di Giuda).
Ci fu un’altra occasione in cui Ezechia si sentì ormai finito e ricorse con fede al suo Salvatore. L’episodio è narrato a colori vivaci nel capitolo 38 di Isaia.
Un morbo grave sta per spegnere la vita del re; ma Isaia stesso gli annunzia che la morte sarà allontanata dal Signore e offre al sovrano un segno curioso: l’ombra del sole sulla meridiana del palazzo reale, anziché procedere come d’obbligo, tornerà indietro di dieci gradi! E il re, curato con una ricetta del profeta (un impiastro di fichi) e ritornato sano, intonerà un dolce e intenso inno di ringraziamento al Signore che «preserva la vita dalla fossa della distruzione».
Una sorta di salmo che consigliamo a tutti di leggere in Isaia 38,10-20, soprattutto nei giorni della sofferenza fisica.

(Autore: Gianfranco Ravasi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant’Ezechia Re di Giuda, pregate per noi.

*San Feidlimid (Felim) - Re del Munster (28 Agosto)  

† 845/6
Figlio di Crimhthann, discendente di Aenghus, figlio di Nactfraech, figlio di Lughaidh, secondo gli annali irlandesi Feidlimid salì al trono del Munster, succedendo al padre, ca. l'820.
Per quanto non possa affermarsi con sicurezza che egli fu sovrano di tutta l'Irlanda e, per di più, il XVII predecessore di Roderick O'Connor, morto nel 1198 (cf. Giral dus Cambrensis, Opera, ed. J. F. Dimock, voi. V, Londra 1861, Topographia Hibernica, Dist. III, cap. 44, p. 188), è certo però che esercitò per lungo tempo poteri e privilegi sovrani in tutta la provincia del Munster e che inoltre fu rispettato e temuto, per le sue qualità di guerriero, anche dagli altri sovrani irlandesi.
Negli annali irlandesi esistono molte notazioni riferite a Feidlimid, e da esse può ricavarsi il quadro di una vita di lotte continue, spesso molto sanguinose, condotte contro i potenti vicini e contro i re d'Irlanda.
A questo proposito può essere interessante ricordare l'incontro che ebbe luogo nell'anno 837 (secondo gli Annali dell'Ulster; 835, secondo gli Annali di Clonmacnoise)
a Cluain-Conaire-Tomain (od. Gloncurry, Kildare) tra Feidlimid e Niall Gaille, re d'Irlanda, che aveva invitato il re del Munster per stringere con lui alleanza contro comuni nemici, i Normanni.
Ma Feidlimid preferì profittare delle difficoltà di Niall, tentando di sostituirsi a lui nel governo dell'Irlanda.
Si ritiene che Feidlimid, dopo aver retto per ventisette anni il Munster, abbia volontariamente abdicato e si sia ritirato a condurre vita eremitica in una località sconosciuta.
La data della sua morte è fissata all'845 (Annali dei Quattro Maestri), all'846 (Annali dell'Ulster), e all'847
(Chronicum Scotorum).
Durante il suo regno Feidlimid non tenne certo un contegno edificante (tra l'altro, gli si imputa l'incendio di Termon, terra di San Giarano di Clonmacnoise, che lo punì), ma, si è detto, secondo la tradizione egli condusse negli ultimi tempi una vita ascetica ed è probabilmente per questo «ripensamento» tardivo che il suo nome fu iscritto tra quello dei santi al 28 agosto nel Martirologio di Tallaght e in quello del Donegal.

(Autore: Mario Salsano - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Feidlimid, pregate per noi.

*Santa Fiorentina - Vergine (28 Agosto)

Sec. VII
Sorella di tre Santi: Leandro, Fulgenzio e Isidoro di Siviglia. Fu badessa del monastero benedettino di Ecija, Spagna.
Martirologio Romano: A Siviglia nell’Andalusia in Spagna, santa Fiorentina, vergine assai versata nelle discipline ecclesiastiche, alla quale i fratelli Isidoro e Leandro dedicarono trattati di insigne dottrina.
Nacque probabilmente a Cartagena in data imprecisata (545 o 550) e, verso il 554, si trasferì a Siviglia con i genitori e i fratelli San Leandro e San Fulgenzio. Alla morte dei genitori Fiorentina allevò l'altro fratello, Sant' Isidoro.
Ancor giovane entrò in un monastero della Betica, che la tradizione identifica con S. Maria della Valle nella città di Écija, dove fu vescovo San Fulgenzio.
San Leandro le dedicò, dopo il 575, il trattato De institutione virginum et de contemptu mundi, noto come la Regola di San Leandro, un adattamento della Regola benedettina per le religiose che ebbe una
gran diffusione nei monasteri femminili dell'alto Medioevo.
Intelligente e versata nelle scienze ecclesiastiche, su suo invito Sant' Isidoro scrisse e le dedicò il trattato teologico-esegetico De fide catholica contra Iudaeos.
Lia. tradizione la vuole anche a capo del suo monastero di Écija e occupata nel governo di ben altri quaranta o cinquanta monasteri.
Sono incerti anche il luogo e la data della sua morte (610 o 612).
Per qualche tempo rimase sepolta nella cattedrale di Siviglia (chiesa delle SS. Giusta e Rufina) insieme ai suoi fratelli San Leandro e Sant'Isidoro, come ne fa fede un epitafio autentico; ma con l'invasione araba, il suo corpo, coi resti dell'altro fratello, San Fulgenzio, fu trasferito a Berzocana (Caceres).
Mancano testimonianze circa un suo culto antico; spesso viene confusa con una Santa Fiorenza martire non meglio identificata. Soltanto a cominciare dal sec. XV il suo Ufficio compare nei Breviari locali (commune virginum).
È la patrona della diocesi di Plasencia, che ne celebra la festa il 14 marzo (anniversario della traslazione); le sue reliquie sono venerate anche a Murcia e all'Escoriai. Il Martirologio Romano la commemora il 20 giugno.

(Autore: Isidoro da Villapadierna - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Fiorentina, pregate per noi.

*Beato Francisco López Navarrete - Sacerdote e Martire (28 Agosto)  
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli della Diocesi di Jaén" - Senza Data
(celebrazioni singole)
"Beati 522 Martiri Spagnoli"  Beatificati nel 2013  
Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" - Senza Data
(Celebrazioni singole)

Villanueva del Arzobispo, Spagna, 2 marzo 1892 - Orcera, Spagna, 28 agosto 1936.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francisco López Navarrete, pregate per noi.

*Beato Francisco y Josè Romero Ortega - Sacerdote e Martire (28 Agosto)  
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Almería, Spagna, 30 marzo 1872 – 28 agosto 1936

Francisco Romero Ortega nacque ad Almería, nell’omonima provincia e diocesi, il 30 marzo 1872.
Fu ordinato sacerdote nel maggio 1896 e divenne poi cappellano di Araoz e delle Serve di Maria.
A causa della persecuzione religiosa esplosa durante la guerra civile spagnola, il 27 agosto 1876 venne catturato con suo fratello don José nella casa dove vivevano insieme e condotto con lui sulla strada per Huércal de Almería.
L’indomani, don José morì fucilato, mentre don Francisco, dopo aver cercato di rifugiarsi sotto un ponte, rese l’anima a Dio in seguito alle torture.
Inseriti entrambi in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, sono stati beatificati ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francisco y Josè Romero Ortega, pregate per noi.

*Beato Giacomo de Tahust - Mercedario (28 Agosto)

+ 28 agosto 1405
Originario di Valenza (Spagna), il Beato Giacomo de Tahust, entrò nell'Ordine della Mercede nella sua stessa città.
Fu consigliere di Martino Re dAaragona e venne eletto Maestro Generale il 13 giugno 1401 in Tarragona poi confermato da Papa Benedetto Xlll° e governò per 4 anni.
Riscattò molti schiavi in terra d'Africa ad Oràn, Fez ed Algeri e predicò la fede di Cristo.
Ammalatosi gravemente si fece trasportare nel convento mercedario di San Domenico in Valenza, sua città natale, e mentre rendeva l'anima a Dio era così infiammato dell'amore divino che il nobile moro Beato Maometto Abdalla trovandosi presso il suo letto di morte si convertì, ricevette il battesimo ed in seguito si fece mercedario.
Venerato come un Santo, il Beato Giacomo morì il 28 agosto del 1405 e fu sepolto nella chiesa dello stesso monastero.
L'Ordine lo festeggia il 28 agosto.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo de Tahust, pregate per noi.

*Santa Gioacchina De Vedruna - Vedova e Fondatrice (28 Agosto)
Barcellona, Spagna, 16 aprile 1783 - Barcellona, Spagna, 28 agosto 1854
Nacque il 16 aprile 1783 a Barcellona in Spagna. Sposò nel 1799 Teodoro de Mas, del quale restò vedova nel 1816.
Allevò con cura nove figli.
Nel 1826, guidata dallo Spirito di Dio, fondò la Congregazione delle Carmelitane della Carità che diffuse in tutta la Catalogna, aprendo numerose case per l'assistenza agli infermi e per l'opera di prevenzione e recupero delle classi più esposte alle insidie della miseria e dell'ignoranza.
Innamorata del mistero trinitario, da esso trasse le caratteristiche della sua spiritualità: preghiera, mortificazione, distacco, umiltà e carità. Morì a Vich il 28 agosto 1854.
Fu beatificata il 19 maggio 1940 e canonizzata il 12 aprile 1959.
L’Ordine Carmelitano celebra la sua festa il 22 maggio.

Martirologio Romano: A Barcellona in Spagna, Santa Gioacchina de Vedruna, che, madre di famiglia, educò piamente nove figli e, rimasta vedova, fondò l’Istituto delle Carmelitane della Carità, sopportando serenamente ogni genere di sofferenze, finché morì colpita da colera.
La sua, fu una vita paragonabile ad una strada dritta e grande, che per necessità occorre lasciare per imboccare una secondaria e ritornare poi sulla prima dopo un certo percorso.
Figlia di Lorenzo De Vedruna e Teresa Vidal, genitori di genuina fede cristiana, Gioacchina nacque a Barcellona il 16 aprile 1783 e battezzata nello stesso giorno.
Già dalla fanciullezza si sentì attratta dall’amore di Dio, al punto che la madre gli domandava come facesse a stare così lungamente raccolta in preghiera e lei rispose che tutto le parlava di Dio, gli spilli del merletto a tombolo, le ricordavano le spine della corona di Cristo crocifisso e al quale desiderava portare consolazione con piccoli sacrifici; così il filo da cucire le ricordava le corde con cui Gesù fu legato alla colonna e le erbacce delle aiuole per lei rappresentavano i propri difetti e mancanze da sradicare.
Con questi sentimenti così profondi in una bambina, a nove anni fece la Prima Comunione e a dodici decise di consacrarsi al Signore tra le Carmelitane di clausura di Barcellona, ma per la sua giovane età non fu accettata; crebbe negli anni successivi con questo ideale, che sembrava ormai la via principale della sua vita.
A sedici anni però venne chiesta in sposa da Teodoro De Mas, giovane che pure lui aveva sentito forte il richiamo ad una vita religiosa, ma ostacolato dalla volontà dei genitori, essendo il primogenito e l’erede di un nobile casato.
Gioacchina dopo aver avuto dal suo confessore, la rassicurazione che questa era la volontà di Dio, accettò, sposandosi il 24 marzo 1799 con Teodoro. La perfetta affinità di queste due anime, trasformò la loro casa in un’oasi di pace e di concordia; la loro giornata cominciava con l’andare entrambi in chiesa e si chiudeva la sera con la recita del rosario, a cui si unì con gli anni, il coro dei loro nove figli, cresciuti con amore e incoraggiati nella pratica delle virtù, con il loro encomiabile esempio.
Poi dal 1803 al 1813 la Spagna subì il dominio francese di Napoleone Bonaparte; in quest’arco di tempo il popolo spagnolo si ribellò con le armi alla conquista ed anche Teodoro De Mas, discendente da valorosi guerrieri, si arruolò volontario in difesa della Patria.
Fu coinvolto anche nell’assedio di un castello presso Vich, dove oppose con un gruppo di patrioti una strenua difesa e che i francesi non riuscirono ad espugnare; fu questo un periodo d’intensa sofferenza per Gioacchina De Vedruna, in ansia per la vita del marito, le preoccupazioni per i figli e la grande povertà in cui erano precipitati.
Ma nulla riuscì a scalfire la sua sconfinata fiducia nella Provvidenza e senza mai lamentarsi, non smise mai di pregare. Al ritorno dalla guerra, debilitato nel fisico, Teodoro De Mas morì il 6 marzo 1816; alla giovane vedova, che aveva 33 anni, nello stesso momento guardando il grande Crocifisso appeso nella stanza, le parve che dicesse: “Ora che perdi il tuo sposo terreno, ti scelgo io per mia sposa”.
Rimase a Barcellona ancora per dei mesi per tutelare i diritti dei figli, dalle pretese dei parenti e poi si ritirò a Vich nel feudo ereditato dal marito, chiamato “Manso Escorial”, dove poté meglio occuparsi dei figli e dare più ampio respiro alla propria santificazione.
Come purtroppo era una piaga di quei tempi la mortalità infantile, anche a Gioacchina le morirono tre figli in tenera età, poi quattro abbracciarono lo stato religioso e due si sposarono felicemente. Divenuta più libera dagli impegni familiari, pensò che fosse giunto il momento di realizzare la sua antica aspirazione di entrare in un Ordine religioso di clausura; ma il suo direttore spirituale, il cappuccino di Vich padre Stefano di Olot, la dissuase dicendole che Dio non la voleva in un chiostro, ma come fondatrice di una Congregazione di religiose, dedite alla cura degli ammalati e all’educazione delle fanciulle.
Ancora una volta Gioacchina chinò il capo acconsentendo, e il 6 gennaio 1826 a 43 anni, fece la professione di “Carmelitana della Carità” nella cappella vescovile di Vich, nelle mani di mons. Paolo di Gesù Corcuera, vescovo della città di Vich, che tanto l’aveva incoraggiata e dato il nome alla nuova Istituzione.
E così il 26 febbraio 1826 insieme a nove giovani aspiranti, dopo aver ascoltato la Messa, si diressero al “Manso Escorial”, dove iniziarono la nuova vita, fatta di pace e di fervore religioso.
Il suo amore materno si trasmise alle sue nuove figlie, divenendo un fattore fondamentale del metodo educativo delle “Carmelitane della Carità”. Superando privazioni e stenti, un po’ alla volta l’Istituzione crebbe diffondendosi con una fitta rete di case per tutta la Catalogna, confermando come lei diceva: “che la Congregazione non era opera sua, ma di Dio”.
Nel settembre del 1849 fu colpita da un primo attacco apoplettico, a cui ne seguirono altri che la resero  paralizzata e secondo un suo desiderio chiesto al Signore, “inutile e spregevole” agli occhi degli altri.
Il 28 agosto 1854 a 71 anni, dopo un’ulteriore attacco del male, le si presentarono i sintomi del colera che in quel periodo decimava il popolo e circondata dall’affetto delle sue figlie, si addormentò nel Signore.
Venne beatificata il 19 maggio 1940 da Papa Pio XII e successivamente canonizzata il 12 aprile 1959, dal Papa Beato Giovanni XXIII.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Gioacchina De Vedruna, pregate per noi.

*Beati Giovanni Battista Faubel Cano e Arturo Ros Montalt - Padri di famiglia, Martiri (28 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”
+ 28 agosto 1936
Juan Bautista Faubel Cano nacque a Liria (Valencia) il 3 gennaio 1889 e fu battezzato nella chiesa parrocchiale dell’Assunzione di Nostra Signora.
Pirotecnico, molto apprezzato e stimato, a partire dalla sua giovinezza visse con ardore il suo impegno apostolico nell’Azione Cattolica, distinguendosi per la sua carità con i bisognosi.
Nel 1914 si sposò con la sig.na Patrocinio Olba Martínez dalla quale ebbe tre figli. Nel 1931, all’inizio della II Repubblica spagnola, si preoccupò della formazione delle Scuole Cattoliche.
Mai occultò il crocifisso a casa sua e affermò: “Se Dio ha bisogno del mio sangue, non posso negarlo a Lui”. Imprigionato e torturato in odium fidei il 6 agosto 1936, subì il martirio all’alba del 28 agosto 1936, al grido di: “Viva Cristo Re!”.
Arturo Ros Montalt, fedele laico, nacque il 26 ottobre 1901 a Vinalesa (Valencia), fu battezzato il 2 novembre 1901 e cresimato il 6 ottobre 1910 nella chiesa parrocchiale di San Honorato, dove il 26 novembre 1927 si sposò con la sig.na Maria Llopis Sirer.
Nacquero 6 figli, di cui una religiosa e un sacerdote.
Di famiglia contadina, giovanissimo aiutò suo padre nel lavoro quotidiano. Molto devoto e attivo nel campo sociale prese la guida del Sindacato cattolico durante la II Repubblica.
Fondò il centro di Azione Cattolica a Vinalesa e una scuola parrocchiale quando fu abolito l’insegnamento della religione nelle scuole fu soprannominato “il santo”. Nella persecuzione offrì la sua vita a Dio e affermò di essere a disposizione della volontà divina.
Imprigionato e torturato all’alba del 28 agosto 1936 lo condussero al martirio insieme ad altri dieci, i quali furono uccisi alla sua presenza mentre lui fu gettato vivo in un fornace di calce.
Beatificati l’11 marzo 2001 da Giovanni Paolo II con altri 231 martiri della Guerra Civile Spagnola.

Martirologio Romano: Nel territorio di Valencia sempre in Spagna, Beati martiri Giovanni Battista Faubel Cano e Arturo Ros Montalt, che, padri di famiglia, durante la persecuzione contro la Chiesa ricevettero dagli uomini la morte e da Dio la vita eterna.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Giovanni Battista Faubel Cano e Arturo Ros Montalt, pregate per noi.

*San Giuliano di Brioude - Martire (28 Agosto)
Etimologia: Giuliano = appartenente alla 'gens Julia', illustre famiglia romana, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Brioude presso Clermont-Ferrand nella regione dell’Aquitania, in Francia, San Giuliano, martire, che, giunto in questo territorio su invito di San Ferréolo durante la persecuzione, si tramanda che vi abbia conseguito la palma del martirio.
Di questo celebre martire esistono due passiones, una abbastanza antica e attendibile, anche se non si può attribuire a un teste oculare, l'atra piuttosto tarda, a torto attribuita a Gregorio di Tours, infarcita di elementi leggendari.
Oltre che da questi due documenti, la figura del martire è nota anche attraverso Venanzio Fortunato, che lo celebra come la gloria dell'Alverniaj Sidonio Apollinare e soprattutto Gregorio di Tours (Miracula).
Dall'insieme di queste fanti si può cosí ricostruire la storia del martire e del suo culto.
Giuliano, originario di Vienne, serviva nell'armata agli ordini di San Ferreolo. Durante una persecuzione (quella di Decio, probabilmente) fuggí a Brioude.
Ricercato si presentò spontaneamente ai soldati, che gli mozzarono la testa e, dopo averla lavata ín una vicina fontana, la riportarono a Vienne, mentre il corpo lasciato sul posto, venne raccolto e seppellito presso Brioude, in località detta Vincella, divenuta in seguito il víllaggio di St. - Ferréol.
Dopo un petiodo di abbandono, verso il 385, grazie a una nobile spagnola a cui il martire aveva salvato il marito, il sepolcro diventò centro di intensa venerazione e su di esso fu éretta una basilica.
San Germano d'Auxerre, di passaggio per Brioude, fissò la festa del santo al 28 agosto.
Verso il 470-75 venne attribuita a Giuliano una vittoria riportata sui saccheggiatori burgundi; la basilica fu allora ricostruita dal duca Vittorio, nello stesso periodo in cui a Vienne si ritrovava la testa di Giuliano nella tomba di s. Ferreolo.
L'attuale chiesa fu costruita, tra l'XI e il XIV sec., sul luogo di quella del sec. V e di un'altra ricostruita nell'825. A St.-Ferréol esiste ancora la fontana miracolosa di San Giuliano Segnaliamo, infine che novantuno comuni di Francia portano il nome del santo. Ricordato nel Martirologio Geronimiano al 28 agosto, Giuliano, tramite Floro e Usuardo, passò alla stessa data nel Martirologio Romano.

(Autore: Gérard Mathon - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuliano di Brioud, pregate per noi.

*Beati Guglielmo Dean e Compagni - Martiri (28 Agosto)

Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, Beati Guglielmo Dean, sacerdote, e sette compagni, martiri, che, sotto la regina Elisabetta I, nello stesso giorno, ma in diversi luoghi della città o nelle vicinanze, per il regno di Dio subirono il martirio con l’impiccagione.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Guglielmo Dean e Compagni, pregate per noi.

*Beato Juan Sànchez Molina - Sacerdote e Martire (28 Agosto)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Rioja, Spagna, 20 novembre 1882 – Almería, Spagna, 28 agosto 1936

Juan Sánchez Molina nacque a Rioja, in provincia e diocesi di Almería, il 20 novembre 1882. Il 4 giugno 1909 fu ordinato sacerdote.
Era cappellano carcerario e presso le Piccole Suore degli Anziani Abbandonati quando morì in odio alla fede cattolica il 28 agosto 1936, sulla corazzata "Jaime I".
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Juan Sànchez Molina, pregate per noi.

*Beato Junipero (Ginepro) Serra - Francescano - Apostolo della California (28 Agosto)
Petra, Maiorca, Spagna, 24 novembre 1713 - Monterey, California, 28 agosto 1784
Il diciottenne Miguel-José Ferrer assume questo nome facendosi francescano a Maiorca, per ricordare uno dei primi compagni di Francesco d’Assisi. Sacerdote a 23 anni nel 1737, si dedica all’insegnamento (filosofia e teologia) e alla predicazione. A 36 anni va missionario in Messico, che all’epoca è soggetto alla Spagna.
Nel 1750, col discepolo Francisco Palóu, raggiunge la Sierra Gorda, dove arriverà a dirigere cinque missioni.
Si calcola che padre Serra abbia percorso 9.900 chilometri in terra e 5.400 miglia in navigazione, arrivando all’Alta California. L’ultima missione fondata è San Bonaventura (oggi Ventura). Ma è sull’uomo che padre Serra compie i suoi prodigi, portandogli, insieme alla fede, la spinta a costruirsi una vita degna della persona e della famiglia.
Quando se ne muore nel Carmelo di Monterey (dove sarà sepolto), per tutti quelli che via via ne ricevono la notizia è come aver perduto davvero un padre, ma ricevendone pure una grande eredità. Nessuno prima di lui ha fatto tanto per le popolazioni della California.

Martirologio Romano: A Monterrey in California, beato Ginepro (Michele) Serra, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che tra le tribù ancora pagane di quella regione, nonostante gli ostacoli e le difficoltà, predicò il Vangelo di Cristo nella lingua dei popoli del luogo e difese strenuamente i diritti dei poveri e degli umili.
E’ chiamato l’Apostolo della California; nacque a Petra (Majorca) il 24 novembre 1713 da Antonio e Margherita Ferrer e fu battezzato con il nome di Michele. Frequentò la scuola annessa al convento
francescano e nel contempo aiutava la famiglia nel lavoro dei campi. Rispondendo alla sua vocazione, da giovane si recò a Majorca capitale delle Isole Baleari per entrare nell’Ordine Francescano, il 15-9-1731 fece la professione religiosa prendendo il nome di frate Ginepro (Junipero in spagnolo) come il compagno di San Francesco.
Per 18 anni visse tutte le realtà francescane dell’arcipelago, divenendo sacerdote, predicatore, professore di filosofia e di teologia presso l’Università Luliana. Vivo successo spirituale fruttavano le sue predicazioni in particolare durante le Quaresime.
All’inizio del 1749 a 35 anni, ubbidendo ad una sua interiore vocazione lasciò Majorca per partire per le Missioni d’America insieme ad un suo discepolo Francesco Palòu, che gli rimarrà vicino per tutta la vita.
Il 18 ottobre 1749 la sua nave gettò l’ancora a San Giovanni di Porto Rico e il 7 dicembre approdò a Veracruz. Proseguì a piedi fino a Città del Messico dove la mattina del 1° gennaio 1750 fu accolto dai francescani del Collegio apostolico di San Ferdinando, posto nei dintorni della capitale.
Trascorsi cinque mesi di preparazione per missionario tra gli indios, partì, insieme al Palòu per la Sierra Gorda, giungendo a Jalpàn il 16 giugno 1750, fu istruito da un governatore indigeno sulla lingua Pame e quindi iniziò la sua predicazione agli Indios nel loro linguaggio, traducendo le preghiere ordinarie e il catechismo, educandoli anche al lavoro.
Poté con il loro aiuto costruire un tempio in pietra a Santiago di Jalpàn in stile barocco, ancora oggi di interesse architettonico, il quale fu preso a modello per la realizzazione di quattro chiese nelle altre missioni.
Restò con vari incarichi, fra quale quello di superiore nelle cinque missioni della Sierra Gorda, finché i suoi superiori lo inviarono nel Texas a ricostituire la missione di San Saba, distrutta un poco prima dagli indiani Apaches, ma poi l’incarico fu in seguito annullato per il forte pericolo che comportava e fra’ Junipero restò al Collegio apostolico di San Ferdinando come maestro dei novizi e predicatore delle missioni in varie diocesi messicane, tutto questo dal 1758 al 1767. A giugno del 1767 i gesuiti furono espulsi dai possedimenti spagnoli e le missioni della Bassa California vennero affidate ai francescani, Junipero fu nominato superiore e insieme ad altri 14 compagni giunse nella Bassa California il 1° aprile 1768. Dopo solo due anni, visto anche le condizioni generali più favorevoli, poté fondare la prima missione di San Diego il 16 luglio 1769.
Spostatosi verso l’Alta California fondò le missioni di San Carlos di Monterey (trasferita poi sulle sponde del fiume Carmelo), di Sant’Antonio il 14 luglio 1771; San Gabriel (oggi inserita nella grande città di Los Angeles) l’8 settembre 1771; San Luigi Obispo il 1° settembre 1772.
Seguì un periodo d’incomprensione con un comandante militare per cui si ritirò, sempre a piedi, di nuovo al Collegio di San Ferdinando in Messico ove rimase fino al 13 marzo 1774, quando fece di nuovo ritorno prima a San Diego e poi al Carmelo di Monterey, dove ebbe un periodo di relativa tranquillità, mentre l’evangelizzazione dell’intera Penisola Californiana proseguiva lentamente ma con costanza.
Diresse personalmente i lavori di ricostruzione della missione di San Diego distrutta dagli indios; fondò il 1° agosto 1776 la missione di San Francisco; il 1° novembre quella di San Juan Capistrano e il 7 gennaio 1777 quella di Santa Clara.
Papa Clemente XIV gli concesse il privilegio di amministrare il sacramento della Cresima per dieci anni, al termine dei quali il numero dei cresimati di tutte le sue missioni da lui visitate fu di 5309; nel 1782 fondò l’ultima missione di San Bonaventura, realizzata nei Nuovi Territori, poi si ritirò al Carmelo di Monterey sempre con il suo fedele discepolo Palòu (che in seguito ne scrisse la vita avventurosa quale testimone oculare) e lì morì il 28 agosto 1784, munito dei conforti religiosi e sepolto nella chiesa della missione.
Fu un colosso dell’evangelizzazione, nella sola California in diciassette anni dal 1767 al 1784 percorse circa 9900 km e 5400 miglia di navigazione, sopportando nonostante l’età e le infermità, le condizioni aspre e disagiate dei lunghi viaggi in mare, sui fiumi e soprattutto a piedi; fondò nove missioni da cui derivano i nomi francescani di importantissime città californiane come San Francisco, San Diego, Los Angeles, ecc.
Considerato come il padre degli indios fu onorato come un eroe nazionale e dal 1° marzo 1931 la sua statua si trova nella Sala del Congresso di Washington come rappresentante dello Stato della California; la cima più alta della catena montuosa Santa Lucia in California, porta il suo nome.
E’ stato beatificato da papa Giovanni Paolo II il 25-9-1988.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Junipero Serra Francescano, pregate per noi.

*Beato Mauro (Abel Angel) Palazuelos Maruri - Sacerdote Benedettino, Martire (28 Agosto)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Benedettini" Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Beati 522 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2013 - Senza data
(Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" - Senza Data
(Celebrazioni singole)

Peñacastillo, Spagna, 26 ottobre 1903 - Barbastro, Spagna, 28 agosto 1936
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Mauro Palazuelos Maruri, pregate per noi.

*San Mosè l'Etiope (di Scete) - Anacoreta (28 Agosto)  
m. 251
Emblema:
Palma
Martirologio Romano: In Egitto, San Mosè l’Etiope, che da famoso brigante divenne celebre anacoreta, convertì molti del suo gregge di malfattori e li condusse con sé in monastero.
Ha il nome del legislatore d’Israele, ma la prima parte della sua vita è quella di un pregiudicato violento e astuto. Il Martirologio romano, ricordandolo il 28 agosto, dice che da giovane è stato un “ladrone insigne”. Di origine etiopica e di pelle nera, aveva avuto la fortuna di entrare presto al servizio di un personaggio molto ricco.
Ma cominciò a derubarlo, facendosi cacciare, e mettendosi poi a rapinare un po’ tutti, ricchi e poveri. Conosciamo la sua vita attraverso il racconto di uno scrittore nato in Asia Minore: Palladio, detto poi “di Eliopoli” quando divenne vescovo di questa città della Bitinia, nell’attuale Turchia asiatica, sul Mar Nero. Palladio è noto in particolare come amico e difensore di San Giovanni Crisostomo (350 ca. - 407), il patriarca di Costantinopoli combattuto, esiliato e poi riabilitato da morto; e nella letteratura cristiana ha avuto lunga fama per un suo libro scritto in greco: la Storia lausiaca, intitolata così perché dedicata a Lauso, un dignitario dell’imperatore orientale Teodosio II.
Palladio racconta dunque che il brigante Mosè l’Etiope aveva una sua banda scorrazzante attraverso l’Egitto; nelle campagne indifese, soprattutto. E dopo le rapine si abbandonava con i suoi a sfrenate baldorie. Doveva essere dotato di eccezionale forza fisica: Palladio racconta che, per vendicarsi di un contadino che aveva sventato un furto, loha inseguito attraversando a nuoto il Nilo, "che era in piena e si estendeva per quasi un miglio".
Nuotava "tenendo la spada stretta fra i denti". La sua carriera di rapina dev’essere durata piuttosto a lungo, perché Palladio scrive: "Questo grande peccatore tardivamente fu toccato dal pentimento in seguito a qualche grave rovescio". Insomma, più che una
fulminea illuminazione, ci dev’essere stato un mutamento graduale. Ma duraturo, infine. E senza alcun ripensamento. Anzi: Mosè riesce a convertire anche uno dei suoi peggiori complici, "colui che condivideva la sua colpa nei misfatti sin dalla giovinezza".
E a questo punto vediamo incominciare la “seconda biografia” di Mosè l’Etiope. Il rapinatore è diventato vero monaco. Vive nella sua cella, prega da solo e con gli altri.
Ed essi un giorno lo vedono arrivare in chiesa portando sulle spalle, legati, quattro rapinatori, che avevano fatto irruzione nella sua cella senza riconoscere lui.
E Mosè, con l’antico vigore, li ha portati “come un saccodi paglia” davanti agli altri monaci, domandando: "Ora io non posso più fare male a nessuno; allora, che cosa faccio di questi?". E i ladri si convertono a loro volta, dicendo: "Se questo Mosè, un tempo così grande nelle rapine, adesso ha sentito il timor di Dio, noi che cosa aspettiamo a fare altrettanto?".
Ma la sua non è una conversione tranquilla: a volte il passato torna con i suoi richiami: "I demoni lo spingevano all’antica consuetudine di sfrenata lussuria". Sente che da solo non ce la fa a resistere, si fa guidare dal vecchio monaco Isidoro, e riesce gradualmente a liberarsi, "al punto che temeva il demonio meno di quanto noi temiamo le mosche".
Infine, poco prima di morire, diventa anche sacerdote; e lascia settanta discepoli, conclude Palladio. Il “ladrone insigne”, annota il Martirologio romano, si è trasformato in “insignis anachoreta”. Nel Martirologio etiopico, Mosè è ricordato il 18 giugno.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mosè l'Etiope, pregate per noi.

*San Pelagio - Martire venerato a Costanza (28 Agosto)  

Martirologio Romano: A Costanza nell’odierna Svizzera, commemorazione di San Pelagio, martire.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pelagio, pregate per noi.

*San Restituto di Cartagine - Vescovo e Martire (28 Agosto)  
Martirologio Romano: A Cartagine, nell’odierna Tunisia, San Restituto, vescovo, nella cui festività Sant’Agostino tenne al popolo un sermone in suo onore.
Tenne il seggio episcopale cartaginese fra il 352 e il 373.
L'episodio più significativo ricordato dalle fonti riguarda la partecipazione al concilio di Rimini del 359 e la missione a Costantinopoli.
Durante il sinodo riminese, come esponente più qualificato della Chiesa africana, sostenne la dottrina del concilio di Nicea e per questo fu nominato capo di una delegazione episcopale che doveva trattare a Costantinopoli con l'imperatore Costanzo, favorevole all'arianesimo.
Nella città imperiale la missione di Restituto si svolse con notevoli difficoltà, perchè un'analoga delegazione ariana era partita da Rimini anticipando i colloqui con Costanzo.
Fra le due delegazioni si svolsero poi trattative e colloqui; Restituto si lasciò convincere ad accettare la terza formula del concilio di Sirmio firmando un protocollo.
Per qualche tempo rimase fedele all'omeismo, poi ritornò nell'ortodossia, ma non se ne conosce l'epoca.
Ignota e anche l'ulteriore attività svolta a Cartagine.
Se nel Calendario cartaginese è iscritto fra i martiri venerati nella Chiesa africana è lecito supporre che Restituto, negli ultimi anni della vita, abbia svolto una grande ed encomiabile attività coronata dal martirio.
Disgraziatamente lo stesso Sermone tenuto da Sant'Agostino in suo onore è andato perduto, per cui si ignorano i particolari della gloriosa fine.
Nel Nuovo Martyrologium Romanum la commemorazione, precedentemente collocata al 9 dicembre, è stata spostata al 28 agosto.

(Autore: Gian Domenico Gordini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Restituto di Cartagine, pregate per noi.

*Festa dei Santi Padri della Laura delle Grotte di Kiev, che riposano nelle grotte lontane (di San Teodosio) Chiese Orientali (28 Agosto)
Fu istituita in Ucraina nel 1643; e nel 1762, con decreto del Santo Sinodo, fu estesa a tutta la Russia. I Santi dei quali si fa memoria sono: il monaco martire Luciano; i monaci Teodosio l'Eminentissimo, Mosè il Taumaturgo, Lorenzo il Recluso, Ilarione lo Schimonaco, Pamuzio il Recluso, Martirio il Diacono, Teodoro principe Ostrozskij, Atanasio il Recluso, Dionisio il Recluso, Teofilo arcivescovo di Novgorod. Zinone il Digiunatore, Gregorio il Taumaturgo, Ipazio il Curatore, Giuseppe il Grande Sofferente, Paolo l'Obbediente, Sisoj lo Schimonaco, Nestore l'Illetterato, Pamva il Recluso, Teodoro il Silenzioso, Sofronio il Recluso, Pancrazio il Recluso, Anatolio il Recluso, Ammone il Recluso, Mardario il Recluso, Pietro il Recluso, Martirio il Recluso, Rufo il Recluso, Beniamino il Recluso, Cassiano il Recluso, Arsenio il Laborioso, Eutimio lo Schimonaco, Tito il Guerriero, Achila il Diacono, Paisio il Diletto da Dio, Mercurio il Digiunatore, Macario il Diacono, Pimen il Digiunatore, Leonzio il Canonarca, Geronzio il Canonarca, Zaccaria il Digiunatore, Silvano lo Schimonaco, Agatone il Taumaturgo, Ignazio l'Archimandrita, Longino il Portinaio. La festa ricorre il 28 agosto.
(Autore: Il'ja Basin - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Padri della Laura, pregate per noi.

*Beato Tommaso Felton - Religioso e Martire (28 Agosto)  

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Inglesi" Beatificati nel 1929 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri di Gran Bretagna e Irlanda" - Senza data (Celebrazioni singole)

Londra, 1567 - 28 agosto 1588
Martirologio Romano:
A Londra in Inghilterra, beati Guglielmo Dean, sacerdote, e sette compagni, martiri, che, sotto la regina Elisabetta I, nello stesso giorno, ma in diversi luoghi della città o nelle vicinanze, per il regno di Dio subirono il martirio con l’impiccagione.  
Tommaso Felton, di nobile casata, nacque a Londra nel 1567, nella contea di Surrey. Nell’agosto del 1570 perse suo padre Giovanni perché impiccato per aver affisso al portone del palazzo episcopale londinese in un giorno festivo, e quindi ampiamente divulgato nelle fasi dello scisma, la Bolla di scomunica Regnans in coelis di Pio V contro la regina inglese Elisabetta.
All’età di 18 anni, esiliato per causa del padre, avendo avuto occasione di conoscere i Figli di San Francesco di Paola nella chiesa della Nostra Signora degli Angeli in Reims dove i Minimi officiavano sin dal 1572, ed essendo stato attratto dalle loro virtù, dai loro esempi di pietà, zelo e sacrificio, chiese di essere ammesso a vestirne l’abito. Dopo l’anno di noviziato e la professione della Regola, per motivi di salute Felton venne mandato sotto mentite vesti in Inghilterra.
Dopo essere guarito dai suoi malanni fisici, riconosciuto da alcuni ufficiali mentre era sul punto di imbarcarsi per raggiungere i suoi confratelli a Reims, il giovane venne arrestato per ben tre volte e rinchiuso nelle prigioni di Londra, Bridewell e New-Gate per complessivi tre anni circa, con l’accusa di non voler riconoscere il primato del re d’Inghilterra sul Papa. In carcere Tommaso Felton venne
trattato in modo inumano con il Little ease, ossia piccolo riposo (non poteva stare né in piedi, né a giacere, né a sedere), e a pane ed acqua fino all’estremo supplizio.
Il 26 agosto 1588 il religioso fu processato a Old Bacley e condannato all’impiccagione per tradimento con la formula Fellonia, susp. Thomas Felton, culp. Rifiutato il perdono perché non volle fino all’ultimo, come in precedenza detto, accettare di sostituire all’autorità del pontefice quella del re inglese.
Alle ingannevoli domande se avesse egli preso le parti delle forze del re di Spagna o del Papa rispetto a quelle della regina d’Inghilterra e se riconoscesse sempre nella regina la supremazia della Chiesa inglese, il Felton senza smarrirsi così rispose: Io avrei seguito i dettami della mia coscienza; avrei cioè liberamente seguito le parti di Dio e del mio paese e Io ho letto molte cronache, ma in nessuna ho mai rinvenuto che Iddio abbia ordinato in alcun tempo che una donna funzionasse quale capo supremo della Chiesa.
La condanna a morte di Tommaso Felton venne eseguita nel pomeriggio di mercoledì 28 agosto 1588. Il Minimo inglese aveva solo 21 anni.
Assieme a lui venne giustiziato il sacerdote Giovanni Claxton. Tommaso Felton, figlio martire di padre martire, è stato dichiarato Venerabile da Leone XIII e solennemente beatificato il 15 dicembre 1929 da Pio XI.
La Chiesa, collocandolo sugli altari, ci propone di imitare le sue virtù, il suo eroismo e la sua incrollabile fede. Nell’Albero della Religione dell’Ordine dei Minimi di Jacopo Lauro, risalente al 1622, il Beato Tommaso Felton, Protettore dei chierici Minimi, è detto Clericus Anglus.

(Autore: P. Domenico Crupi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Tommaso Felton, pregate per noi.

*San Vicinio di Sarsina - Vescovo (28 Agosto)
m. 330
Vicinio, che la tradizione vuole primo vescovo della diocesi di Sarsina (oggi unita a Cesena), è ritenuto di origine ligure. Si ritirò come eremita su un monte che ora porta il suo nome.
Mentre sacerdoti e popolo di Sarsina erano riuniti per scegliere il vescovo, sulla cima del monte apparve un segno divino. Così il solitario Vicinio divenne pastore della comunità romagnola, dai primi del IV secolo al 330, data della morte.
Il suo carisma era quello di scacciare i demoni e guarire i fedeli da infermità fisiche o dell'animo attraverso una catena che poneva loro al collo.  (Avvenire)
Patronato: Sarsina-Cesena

Emblema: Catena
Martirologio Romano: A Sársina in Romagna, San Vicinio, primo vescovo di questa città.
La ricerca storica su San Vicinio si ferma ad un manoscritto anonimo del XII secolo, denominato Lectionarium. Questo codice è quasi sicuramente la trascrizione di precedenti note scritte sulla vita di San Vicinio, databile almeno un secolo precedente.
Da questo manoscritto apprendiamo che Vicinio si ritiene venuto dalla Liguria, ma potrebbe anche essere originario delle contrade della mediovalle del Savio. Sulla scia della più consolidata tradizione, lo diciamo proveniente dalla Liguria nel periodo a cavallo fra il terzo ed il quarto secolo, nell'imminenza della persecuzione di Diocleziano e Massimiano, databile dal 303 al 313. Sempre sulla scia della tradizione, lo diciamo protovescovo di Sarsina, pur non trascurando l'opinione di coloro che vogliono l' origine della Chiesa sarsinate legata al ravennate Sant' Apollinare o ai discepoli nel I secolo.
Il racconto evangelico del "Giovane ricco" e la scelta di uno stile di vita da penitente nella povertà ha sempre affascinato gli spiriti con l'inquietudine della santità. Anche Vicinio, spinto dall' amore della solitudine, si dedicò alla preghiera, alla meditazione ed alla penitenza in luogo solitario che la tradizione identifica col Monte San Vicinio, ubicato a circa sei chilometri da Sarsina.
La vita santa di Vicinio fu di tale gradimento al Signore che lo scelse pastore della comunità cristiana insediata in Sarsina.
La preghiera e la penitenza avevano certamente accresciuto lo zelo per la Casa del Signore e Vicinio si dedicò alla strutturazione del gregge divino diffondendo il Vangelo anche nelle zone più impervie della Diocesi.
La cronotassi dei vescovi sarsinati lo colloca primo vescovo della diocesi e afferma che fu guida di
questa porzione di Chiesa fino al 28 agosto 330, giorno della sua nascita al cielo.
Penitenza e preghiera, evangelizzazione e conduzione del popolo di Dio sono i cardini a cui San Vicinio aveva incatenato la sua vita e sono pure la strada maestra da lui scelta per realizzare la sua personale chiamata alla santità.
Ogni santo incarna un particolare carisma e San Vicinio esprime la potenza di Dio nella lotta contro il maligno nella spirituale battaglia di adesione al Vangelo.
Il suo ingresso nella schiera dei Beati con la morte alla vita eterna è da considerarsi avvenuto non prima del 330, dopo ventisette anni e tre mesi di ministero episcopale nel sarsinate.
Anche prima della morte, l' intercessione di San Vicinio si rivelò potente in favore di coloro che portavano infermità nel corpo e nello spirito.
In tanti ricorrevano e ricorrono a lui quando si manifestano malanni nel corpo, anche molto gravi, ansie, fatiche, dolori, turbamenti, ma soprattutto,quando si manifestano problemi esistenziali e spirituali e attraverso l' utilizzo di una catena che il Santo stesso usava ponendola intorno al collo dei fedeli, riescono a ritrovare pace e serenità.
Alcuni aneddoti:
Si narra che l'elezione a Vescovo avvenne per chiamata visibile da parte di Dio. Mentre Presbiterio (nome di persona? nome collettivo dei sacerdoti?) e popolo riuniti, pregavano per la scelta di un nuovo pastore, nel cielo sul monte dove Vicinio pregava apparve un infula episcopale sorretta da angeli.
Presbiterio e popolo accorsero sul luogo e acclamarono Vicinio Vescovo della città.
Si narra che un giorno, mentre il santo si recava nel silenzio della montagna per pregare, una quercia devota e riverente piegò i suoi rami fino a terra, inchinandosi alla santità.
Miracoli:

Nel Lectionarium si legge di un indemoniato trascinato in vari santuari nel tentativo di riuscire nell' intento di liberarlo dai lacci del demonio.
Finchè in Arezzo, sulla tomba del martire Donato, il demonio diede l' indicazione utile: "A nessuno dei Martiri o dei Confessori della fede mi sento obbligato a cedere, se non a San Vicinio, Vescovo di Sarsina, che anche da vivo si oppose sempre a me ed ai miei soci". Fu condotto non senza gravi difficoltà alla tomba di San Vicinio dal Signore e fu liberato dal dominio del demonio nel mentre i sacerdoti celeb-ravano la Santa Messa.
Si legge ancora nel Lectionarium di un mendicante che attribuendo alla catena di San Vicinio un alto valore venale, pensò ben presto di rubarla e darsi alla fuga.
Giunse intanto al fiume Savio tentando di allontanarsi il più possibile, ma in realtà passò la notte a correre a vuoto per ritrovarsi al mattino nello stesso punto del fiume. Colto da timore e rimorso, malconcio e ferito, gettò la catena in un gorgo del fiume, ove fu ritrovata tre giorni dopo galleggiante vicino alla riva.

(Autore: Mirco Camporesi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vicinio di Sarsina, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (28 Agosto)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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